venerdì 20 maggio 2011

Hermenegildo Bustos, “Ritratto di famiglia”, 1887

Lo stato messicano moderno ebbe origine nel movimento democratico del 1910, che sfociò in una sanguinosa e prolungata rivoluzione armata.

Finalmente il paese riuscì a far parte dell’insieme delle nazioni. Intanto, in questo cammino si stava forgiando un mito. La vita di provincia comincia a scomparire e a spopolarsi di fronte allo sguardo lontano su un Messico urbano e cosmopolita. Quando osserviamo il Ritratto di famiglia del 1887, dipinto da Hermenegildo Bustos, ci stupisce il forte tratto e la penetrazione psicologica. Il nesso familiare è testimonianza d’appartenenza e identità, così come le usanze e i mestieri. I vestiti indossati dall’uomo, appropriati al commercio e al clima arido delle strade dell’altopiano, e gli abiti lunghi, coprenti “fin nelle ossa”, delle donne per i lavori domestici, sono tuttavia diffusi. I particolari si trovano nei volti. Se il mestiere e la gerarchia possono essere aneddotici, non accade la stessa cosa con la profondità dell’animo umano. E qui si concentra il lavoro di Bustos. I gesti, gli occhi, le rughe caratterizzano una personalità; non sono simbolo di vittoria, di virtù o di vizi. I maestri del XX secolo ritrovano in Bustos l’origine autentica dell’arte plastica nazionale: l’innocenza del suo approccio e della sua esecuzione, come se prendesse in mano i pennelli sempre per la prima volta, si vede nella versatilità delle linee e dei volumi. Ciò che manca è l’ideologia. Non è un inno alla vita di provincia, alla campagna e alle sue usanze. Di fatto, nel XIX secolo, quella era una realtà rigorosamente quotidiana. Forse, questa è la ragione per cui non cade neppure nel sentimentalismo; senza essere esempi di vizi o di virtù, si mettono in mostra le debolezze, le sconfitte e le gioie: l’istante ritratto è un punto di fuga verso la storia personale di ciascun individuo. Possiamo azzardare, a mo’ di metodo, un contatto quotidiano con la gente del popolo, incontri frequenti che fanno intravedere gli uomini di allora e che continuano a sembrarci vicini grazie a quello sguardo da pittore popolare in senso stretto, come fu nominato dal critico d’arte Raquel Tibol: Pittore del popolo.

dal giornalino the others, anno quindicesimo, numero 6, maggio 2011

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