martedì 18 giugno 2013

Stazione Reggio Emilia AV, di Santiago Calatrava

Come un tempo si visitavano le nuove cattedrali appena costruite come simbolo dello sviluppo della città, ora sono le grandi infrastrutture, per le nuove necessità del terzo millennio, ad attirare i visitatori. La nuova stazione dell'Alta Velocità di Reggio Emilia è piena di turisti cittadini, che approfittano della domenica per vedere questa cosa bianca e futuristica che si trova in mezzo alla zona più vuota di una piccola città. Fanno foto al treno che passa ai 300 Km/h, provano l'ascensore, cercano inutilmente il bar che ancora non c'è.

L'impressione che suscita è grande, con quei costoloni bianchi che ondeggiano regolarmente, come mossi dal passare del treno; ma, a uno sguardo più critico, nascono alcune domande.
Per esempio: in una stazione ci sono due parti: quella dei servizi e quella dei binari. La parte dei servizi solitamente è la più rappresentativa e curata; la parte dei binari necessita di poche cose: delle panchine e una schermatura dal sole e dalla pioggia. In questa stazione è curata molto di più la parte dei binari, almeno sembra, ma di panchine non ce n'è (per ora?), e la luce e il calore sono liberissimi di entrare ma non di uscire, per cui si crea una grossa serra, in cui non si può stare per più di 10 minuti senza occhiali da sole.

Altri particolari stonano, come i costoloni che arrivano a un metro e 50 da terra, la misura giusta per non poterci passare sotto e per non accorgersi che ci sono e prendere una gran botta in testa. E' poca cosa, ma è un errore; così anche il grande atrio di ingresso, spoglio, vuoto e grande ma brutto.
La riflessione che nasce spontanea è che si tratti di un oggetto pensato per se stesso e non per gli uomini; questa tecnologia avanzatissima, simboleggiata da un treno che sfreccia in una struttura bianca e luminosa, non viene compresa ma temuta con rispetto, perdendo il carattere di servizio per cui nasce.

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